Formula1 Passione

Giochi di squadra eseguiti o mal digeriti: gli 'strani' casi di Mark Webber e Alan Jones

« Older   Newer »
  Share  
mauriturbo
view post Posted on 30/12/2011, 08:00     +1   -1




webber%20jones


“Sebastian, stiamo riscontrando gravi problemi al cambio. Riduci i giri motore”. L’astuto stratagemma allestito via radio nelle fasi cruciali del Gran Premio del Brasile 2011 di scena a Interlagos dall’ingegnere di pista Guillaume Rocquelin, sorta di terzo occhio del bi-campione del mondo Sebastian Vettel, all’indirizzo del suo pilota, in quel momento leader incontrastato della gara davanti al compagno di squadra Mark Webber, ha riproposto il tema degli ordini di squadra nel Circus F1, ordini peraltro consentiti in seguito alla delibera FIA fortemente voluta dal presidente Jean Todt allo scopo di porre un freno a sospetti e illazioni all’indomani degli strascichi polemici derivanti dal cambio di posizioni pilotato dai box tra i ferraristi Fernando Alonso e Felipe Massa maturato nel contesto di Hockenheim 2010 con tanto di multa inflitta alla compagine di Maranello e conseguente ‘scoperta’ dell’iniquità di una regola da sempre aggirata.

Scattato dalla pole position, la quindicesima della stagione, nel celebre autodromo dedicato alla memoria del compianto José Carlos Pace, il portacolori della Red Bull Vettel ha avuto gioco abbastanza facile nel contenere gli assalti di Webber fino al trentesimo passaggio, più precisamente quando gli affatto velati suggerimenti di Rocquelin hanno spinto il 24enne driver tedesco ad alzare leggermente il piede alla frenata della S do Senna col risultato di concedere il via libera alla vettura gemella dell’australiano, finalmente autorizzato ad involarsi verso il primo trionfo dell’anno a mo’ di coronamento di un campionato altrimenti avarissimo di soddisfazioni.

Guasto alla trasmissione di natura tangibile o sottile furberia ideata dagli smaliziati strateghi di Milton Keynes volta a favorire il recupero una tantum di Webber nel Gran Premio che avrebbe fruttato al pilota originario di Queanbeyan la terza posizione in classifica generale alle spalle di Vettel e Button ma davanti al ferrarista Alonso? Il punto interrogativo, a dir la verità, rimane, sebbene le parole espresse da un apparentemente consapevole Mark nel dopo gara (“Cose che succedono, però avrei voluto lottare con Sebastian per tutta la corsa”) lascino ampio spazio al dibattito e alle inevitabili perplessità generate dalla successiva condotta dell’iridato in carica, perfettamente in grado di tenere a debita distanza la McLaren di Button, poi terzo allo sventolare della bandiera a scacchi, il tutto sfoderando tempi sul giro di rilevanza assoluta.

“La Red Bull ha dimostrato di saper costruire dei cambi straordinari – ha tuonato, abilmente velenoso, il direttore della Gestione Sportiva Ferrari Stefano Domenicali in conferenza stampa a Interlagos – forse, se l’intenzione dei nostri rivali era quella di invertire le posizioni di arrivo, si è trattato di una manovra inutile perché da quest’anno gli ordini di squadra non sono più vietati”. Come dire, la trasmissione montata sulla McLaren di Lewis Hamilton, out alla tornata numero 46 dopo essere stato opportunamente avvisato via radio del problema che di lì a poco l’avrebbe costretto al ritiro, non disponeva dell’ipotetico bottone magico premuto da Vettel o dal box Red Bull nel tentativo, incredibilmente riuscito, di neutralizzare un enigmatico guasto al cambio rivelatosi mai così volatile nella sua declinazione alla stregua di un reset operato in memoria RAM.

Perché, dunque, nascondere una decisione presa a tavolino, ammesso e non concesso che Webber fosse riuscito a sostenere il ritmo del compagno di squadra nei frangenti iniziali della gara, pur di mascherare un palese ordine di scuderia peraltro contemplato nel bignami delle regole sportive 2011? Per una questione di coerenza con se stessi, innanzitutto, dal momento che Red Bull si era scagliata senza troppi complimenti contro lo scambio di posizioni Alonso-Massa nel Gran Premio di Germania 2010 invocando sanzioni non soltanto pecuniarie, ma anche per donare a Webber, in perenne crisi di risultati, una vittoria il più possibile lineare alimentata da dubbi di ardua dissipazione al di là della monosillabica comunicazione radio udita nelle cuffie di Vettel, foriera di ambiguità e congetture senza probabilmente poter mai giungere a conclusioni definitive. Il presunto ‘biscotto’ di Interlagos, insomma, può essere visto come un intervento a gamba tesa del team anglo-austriaco in un Mondiale capace di cristallizzare lo straripante dominio delle monoposto concepite dalla matita dell’ineffabile direttore tecnico Adrian Newey.

Se un australiano, in lotta per il titolo fino all’ultima gara nel rocambolesco 2010, è riuscito lo scorso 27 novembre a sollevare la coppa del vincitore beneficiando in qualche modo della grazia Red Bull, trenta stagioni addietro il connazionale Alan Jones, campione del mondo in carica sulla Williams sponsorizzata dalla compagnia aerea mediorientale Fly Saudia, si ritrovò azzoppato nella rincorsa al secondo alloro consecutivo complice il mancato rispetto di un ordine di squadra del compagno di colori Carlos Reutemann, il cui obiettivo doveva essere quello di preservare lo status di prima guida del coriaceo driver originario di Melbourne anche in virtù delle ambizioni espresse da Nelson Piquet, alfiere Brabham divenuto iridato a fine stagione.

Il lido prescelto per la deflagrazione della spasmodica tenzone è il circuito di Jacarepaguà, a sud ovest di Rio de Janeiro, in Brasile, dove la F1 già gareggiò nel 1978. Ad imporsi nella prima edizione del Gran Premio è stato proprio Reutemann su Ferrari, ma nel 1981 i galloni del protagonista li detiene il taciturno Jones, cinque trionfi complessivi risalenti al 1980. Il guaio è che il suo team-mate argentino, scudiero designato in Williams l’anno precedente, non intende accontentarsi nuovamente delle briciole. Sull’esaltante ‘cittadino’ di Long Beach, California, nella ‘season opener’ del campionato, Jones e Reutemann mettono a segno una preziosa doppietta davanti allo scalpitante Piquet. Tutto come da copione, almeno fino al Gran Premio del Brasile in programma due settimane dopo che potrebbe garantire all’australiano l’opportunità di allungare ulteriormente in classifica con la ‘copertura’ del velocissimo Lole.

Niente di più sbagliato. Il buon Carlos, definito “tormentato e tormentoso” dal suo ex patron Enzo Ferrari come a volerne rimarcare le performances spesso imprevedibili, gioca al suo irascibile compagno di squadra uno scherzo che costerà alla Williams il titolo mondiale. Il poleman Piquet viene ben presto risucchiato dalle FW07 di Reutemann e Jones, con il pilota nativo di Santa Fe avviatosi davanti al campione del mondo in carica. Detto e fatto, Lole non molla la leadership e su un asfalto reso viscido dalla pioggia si appresta a scombinare i piani dell’incredulo Jones. Un premuroso addetto della Williams mostra all’argentino un cartello eloquente che lo invita a farsi da parte lasciando strada al team-mate, Carlos però non se ne cura minimamente tanto da confezionare alla squadra una ‘patata bollente’ inattesa.

Raggiunto il limite delle due ore di gara, la direzione corsa sventola la bandiera a scacchi. Primo Reutemann, secondo Jones, terzo Patrese. Il tipico entusiasmo degli appassionati brasiliani non basta a contenere la rabbia del campione sconfitto. I vertici della Williams puntano il dito contro il comportamento di Reutemann, sordo dinanzi all’ordine di cedere la posizione, mentre Jones nemmeno si presenta sul podio soverchiato dall’esigenza di evitare reazioni peggiori. Il seguito, è cosa nota, culminerà in un confronto all’arma bianca tra i due piloti Williams, entrambi determinati a primeggiare danneggiandosi vicendevolmente fino al liberatorio trionfo di Piquet concretizzatosi grazie ad un quinto posto artigliato nell’inebriante skyline di Las Vegas.

Di ordini di squadra eseguiti, subiti, ignorati o mal digeriti straboccano le cronache dei Gran Premi e delle corse in generale, di certo però i rapporti umani tra i drivers F1, calati in una dimensione in cui l’interesse del team dovrebbe avere la meglio su quello del singolo individuo, si trasformano molto spesso in una spiccata manifestazione di egocentrismo potenzialmente in grado di sprigionarsi all’improvviso, complice la necessità di capitalizzare il momento favorevole, altrimenti non così facile da riprodurre, vedi l’autoscontro di Vettel e Webber a Istanbul 2010. “Oggi il titolo lo vince Scheckter, domani toccherà a me”, sintetizzò un filosofico Gilles Villeneuve a Monza ’79. L’epilogo, come sappiamo, fu drammaticamente diverso, sebbene si tratti sempre di stabilire da quale parte della barricata ci si trovi a dover combattere. Con buona pace dei ruoli ricoperti, l’elettrizzante spietatezza del Circus ha paradossalmente dimostrato che le competizioni su due e quattro ruote possono essere annoverate a ragione nella ristrettissima cerchia degli sport di squadra più personalisti del lotto.

Ermanno Frassoni


http://www.motorinside.it/giochi-di-squadr...er-e-alan-jones

 
Top
0 replies since 30/12/2011, 08:00   17 views
  Share